GUCCINI “CHE ORGOGLIO VEDERE LE MIE CANZONI TRATTATE COME POESIE”

Foto di Isabella Perugini

Ma se lui avesse previsto tutto questo, forse avrebbe fatto lo scrittore in pianta stabile. Avendo invece fatto il cantautore, e con non disprezzabilissimi risultati, Francesco Guccini si è comunque meritato tutto questo. Ovvero Canzoni, un libro in cui Gabriella Fenocchio, saggista e docente di letteratura, tratta 43 canzoni della vastissima produzione gucciniana esattamente come si fa con Leopardi, Pascoli o D’Annunzio: il testo commentato a piè di pagina verso per verso e poi spiegato nella sua nascita, i riferimenti letterari e il contorno. Senza contare le illustrazioni di alcuni manoscritti con le correzioni autografe a lato, roba da filologi. Il volume (Bompiani) viene presentato dal cantautore dopodomani alla Feltrinelli Duomo con l’autrice, Roberto Vecchioni e Massimo Bernardini.

 

 

Bella soddisfazione, Guccini.

«Altro che: pure le critiche più positive non erano mai andate così bene. Man mano che Gabriella scriveva un commento, me lo mandava. E ammetto che a volte trovava nei brani dei riferimenti a cui neanche io avevo pensato, almeno consciamente».

 

Possiamo definirla una celebrazione in vita?

«Che è ben meglio di una post mortem. Certo è una soddisfazione: ammetto di essere un pochino snob, quindi ne avevo avuto solo un’altra così, quando un mio racconto finì in un’antologia dei Meridiani Mondadori accanto a Pirandello e Moravia. Mi fece più piacere di tanti dischi».

 

Di libri lei ne ha scritti tanti. Non ha mai pensato di fare lo scrittore e basta, quando era in attività come cantautore?

«Mille volte, era anche il mio sogno da bambino. Ma alla fin fine mi pare di non essermela cavata troppo male neanche con la musica, è andata bene così».

 

Fra le sue canzoni, quale ritiene la più letteraria?

«Direi Signora Bovary, mi pare la piu riuscita, esprime perfettamente anche la mia visione della vita».

 

Nel suo canzoniere risultano tre canzoni dedicate a Milano. E una “Samantha” è anche molto letteraria, pare proprio un racconto.

«Credo che sia anche la migliore delle tre. La prima, Talkin Milano, era solo un divertissement in blues. Milano (poveri bimbi di), del 1981 parlava dei ragazzini “coi vestiti comprati all’Upim, abituati a un cielo a buchi”, mi sembra abbastanza attuale anche ora. E poi c’è Samantha, che ha una storia particolare. Stavo andando a un incontro con gli studenti del Cpm, la scuola di musica di Franco Mussida, c’era così tanto traffico che a un certo punto proseguii a piedi. Alzando lo sguardo vidi dei casermoni, mi venne inevitabile pensare a chi abitava lì e immaginai questa ragazza proletaria che vive un flirt un po’ sognato con un ragazzo di buona famiglia. C’è questo verso “San Siro un urlo che non cogli a fondo, ti taglia un senso vago di infinito panico”, anche se in realtà non eravamo a San Siro, quello lo aggiunsi dopo».

 

L’intervista di Luigi Bolognini a Francesco Guccini su “La Repubblica” di Milano

Milano è anche Roberto Vecchioni, un amico, oltre che un collega, con cui presenterà il libro.

«Un amico, è vero. E anche uno dei pochi cantautori con cui si potrebbe ripetere il gioco di questo libro. Penso a Luci a San Siro. Sa, ognuno di noi ammira almeno una canzone di un suo collega. E per me il vero titolo di Lucia San Siro è “maledizione, perché non l’ho scritta io?”».

 

Chi altro potrebbe aspirare a un libro così?

«Senza dubbio Francesco De Gregori. E Claudio Lolli, era un vero cantautore letterario e letterato, fregato purtroppo da un carattere un po’ particolare».

 

Il Nobel a Dylan lei lo avrebbe dato? Tanti lo contestarono dicendo che la musica non è letteratura.

«La vera e sola reazione che mi diede quel premio fu di invidia. Per il resto, meritatissimo, anche per aver inventato uno stile artistico e musicale. Per quanto, dovendo dire un nome, avrei detto che Leonard Cohen lo meritasse ancora di più».

 

Musica non ne scrive più, come si sa. Coi libri invece continua?

«Sì, ne ho in gestazione addirittura due. Uno è quasi il completamento ideale di questo: un glossario dei vocaboli che ho usato nelle canzoni. Il secondo è un seguito del mio esordio letterario, Croniche epafaniche, che raccontava il mio paese, Pàvana, di allora. Questo racconterà la Pàvana di oggi, che vive la crisi dell’Appennino, con tutte le case ricoperte di cartelli “vendesi” o comunque abbandonate a se stesse. Non una bella storia, ma è da raccontare».

 

Articolo di Luca Bolognini tratto da La Repubblica di Milano del 23 gennaio 2019