Registrato nel primo semestre del 1976 presso studi GRS di Milano, Via Paolo Fabbri 43 è il settimo album di Francesco Guccini.
E’ presente nella classifica dei cento dischi italiani più belli di sempre, stilata dalla rivista Rolling Stone, alla posizione numero 29, mentre nella classifica degli album più venduti del 1976 occupa la sesta posizione.
Via Paolo Fabbri 43, oltre ad essere il titolo di una canzone e dell'album, è anche l'indirizzo di quella che era l'abitazione di Guccini a Bologna alla data della pubblicazione del disco.
La terza traccia del Lato A del disco è L'avvelenata, una delle canzoni più note di Guccini. Si tratta di uno sfogo del cantautore in seguito ad una recensione del giovane critico Riccardo Bertoncelli sulla rivista Gong del gennaio 1975 al suo album Stanze di vita quotidiana.
Gli arrangiamenti del disco sono curati da Pier Farri su idee musicali di Franco Ceccarelli, Francesco Guccini, Giorgio Massini, Ares Tavolazzi, Vince Tempera, Maurizio Vandelli. Il tecnico del suono è Bruno Malasoma.
Hanno suonato con Francesco Guccini (voce e chitarra acustica): Ellade Bandini (batteria), Riccardo Grigolo e Alfredo Mancini (armonica a bocca), Deborah Kooperman (chitarra, banjo), Massimo Luca (chitarra classica), Giorgio Massini (chitarra elettrica, flauto dolce, dulcimer), Maurizio Preti (percussioni), Ares Tavolazzi (contrabbasso, basso elettrico), Vince Tempera (tastiere), Maurizio Vandelli (chitarra, tastiere).
L'album è stato distribuito da EMI Italia in formato LP, Stereo8, MC e CD.
Edizioni Musicali La Voce del Padrone ha pubblicato gli spartiti di Via Paolo Fabbri 43
Nel settembre del 1976 è stato pubblicata dalla EMI un’edizione in 45 giri per Juke-Box de L’avvelenata (Etichetta: 3C 000 70075).
L’avvelenata compare sul lato A, mentre sul lato B è incisa Bottle of wine di Lennie McDonald.
Lato A – “L’avvelenata”
Lato B – “Bottle of wine”
CURIOSITA'
La celebre foto di copertina è di Roberta Bacillieri ed Ennio Antonangeli.
Nel 2006 i Folkabbestia hanno realizzato una reinterpretazione de L'avvelenata nel loro album 25-60-38. Breve saggio sulla canzone italiana.
Nel 2009 Luca Carboni ha realizzato una reinterpretazione de L'avvelenata nel suo album Musiche ribelli.
Anche J-Ax in un tour del 2002 ha interpretato una versione rap de L'avvelenata.
RECENSIONI
Da “Il Monello” del 6 settembre 1976 un articolo di Renzo Arbore:
Foto tratta dalla rivista "Il Monello" (1976)
Si tratta di un disco autobiografico, forse il più maturo del cantautore. Via Paolo Fabbri 43 è l'indirizzo di Francesco e dà lo spunto al cantante per iniziare discorso autobiografico che parte da quando rincasa alle prime ore dell'alba dopo aver vissuto la sua semplice e splendida vita di provincia e prosegue lungo la giornata con relative considerazioni sul mondo che lo circonda. Nelle altre composizioni Guccini dice il suo punto di vista, sempre originale e mai banale, sui critici di cui si diceva, sugli intellettuali finti, sugli amici parolai, sull'aborto e su altri problemi, piccoli e grossi. Tra le cose migliori mi sembra senz'altro da annoverare “Il pensionato” una canzone dedicata ad una categoria dimenticata da tutti perché poco ‘utile’, perché è quella che ‘consuma’ meno e che, suo malgrado, è quella ‘che meno incide sulla società’. Ed ecco: proprio per questo, venire fuori il Guccini amico solidale degli emarginati, il cantautore delle minoranze. Violenta la sua 'Avvelenata’ (questo è il titolo di un altro brano) contro i critici che pretendono che tutti la pensino come loro, contro i colleghi cantautori di cui dicevamo; Guccini conclude che va per la sua strada, forse con coraggio, forse con il menefreghismo di chi non si vuoi più perdere in discorsi fumosi da trattoria, gli stessi discorsi che hanno visto protagonista proprio lui. Insomma tra tanti album che ho ascoltato in questi ultimi tempi, quello di Dalla e questo di Guccini mi sembrano le uniche cose importanti e le uniche voci originali e «diverse» che ho sentito. Un po' meno entusiasta rimango per la parte musicale che rimane anche nel caso di Guccini quasi un pretesto per rivestire idee e concetti. Buoni però gli arrangiamenti a cui hanno collaborato alcuni nomi noti come Maurizio Vandelli e Vince Tempera.
Da “Novella 2000” del 10 settembre 1976:
Foto dell'articolo di "Novella 2000" (1976)
‘Via Paolo Fabbri 43’, l'ultimo LP di Francesco Guccini in pochi giorni è entrato nelle classifiche dei dischi più venduti. Come se non bastasse continua a essere un «disco rosso», tipo di segnalazione che, nel linguaggio dei giornali specializzati, sta a indicare i dischi che hanno registrato un forte incremento nelle vendite durante l'ultima settimana. Il fatto più singolare è che Guccini è sempre stato considerato un autore per pochi, anti commerciale e difficile, insomma uno che non vende. «In un certo senso è vero» - spiega Guccini - «infatti non mi è mai capitato di entrare in classifica con tanta facilità. È anche vero però che sono sempre stati i vecchi discografici a considerarmi un cantautore per pochi, uno che scrive cose astruse e promozionalmente hanno agito di conseguenza. Qualcuno ha accusato Guccini di scriversi addosso, di soffermarsi troppo a lungo sulle sue faccende e sui suoi sentimenti. In realtà Francesco Guccini non è mai stato così perfetto e pieno di sferzante ironia come in questo ultimo disco. Da “Il pensionato”, un racconto amaro e commovente, a “Piccola storia ignobile”, che tratta il tema dell’aborto e offre una perfetta fusione di personale e politico. Le altre canzoni: “Via Paolo Fabbri 43”, “Canzone di Notte n. 2”, “L’Avvelenata”, “Canzone quasi d’amore”, formano un disco eccellente e confermano Guccini come uno degli artisti più intelligenti del mondo musicale italiano. […]
Francesco, questo è il tuo settimo LP e, dal cantautore d’élite com’eri considerato, ti ritrovi improvvisamente ad essere un cantautore commerciale. Come mai?
«Ho rosicchiato il successo lentamente, come un castoro. Ad ogni disco mi sono guadagnato una fetta di estimatori; così, quest’ultimo 33 giri era stato largamente prenotato ancora prima di uscire. Oggi un cantautore impegnato non è più ascoltato soltanto dai pochi intimi, ma provoca un fenomeno di massa giovanile. Il rischio è quello di essere scambiato per un divo e anche quello di ottenere un ascolto meno attento. D'altra parte era molto più rischioso essere un cantautore d'élite. Un tempo c'era gente che mi ascoltava soltanto per snobismo, perché facevo un genere diverso da quello consumato dalla massa e quindi ascoltare me voleva dire distinguersi, far parte di un ambiente particolare. Oggi per fortuna lo snobismo non è più di moda».
Dalla rivista Popster del 17 settembre 1978:
Foto tratta da "Popster" (1978)
“Via Paolo Fabbri 43” è l'altra faccia delle “Stanze”: i temi sono gli stessi, Guccini è sempre lì a «viversi addosso», ma lo fa con un atteggiamento assai diverso, spesso supera i confini dello sfogo personale con una rabbia ed una vitalità che, pur restando nei limiti di un'autobiografia che esclude sempre di più possibilità di identificazione con chi canta da parte di chi ascolta. “L'Avvelenata” esibisce una calibrata crudezza di linguaggio, come si conviene ad un'autocritica ben fatta: «Io tutto, io niente, io stronzo ed io ubriacone, io poeta, io buffone, io anarchico, io fascista ...», mena colpi un po' dovunque, contro la cupezza ideologica ‘di sinistra’ («Voi personaggi austeri, militari severi, chiedo scusa a vossia, però non ho mai detto che a canzoni si fan rivoluzioni...») e contro i ‘colleghi cantautori’, che fanno bene ad aver «le tasche piene non solo i coglioni», mentre i critici musicali «sparan cazzate». Dichiara disinteresse riguardo al successo dei suoi dischi: «vendere o no non passa tra i miei rischi, non comprate i miei dischi e sputatemi addosso» e informa il pubblico che affolla i suoi concerti che salire su un palco a cantare non è la sua massima aspirazione: «godo molto di più nell'ubriacarmi, oppure a masturbarmi, o al limite a scopare». Alla fine, in piedi circondato dalle macerie, resta solo lui: «ho tante cose ancor da raccontare per chi vuole ascoltare, e a culo tutto il resto». E così sia. Il privato (o «personale») di tutto il disco è appena appena bilanciato da due momenti, se non strettamente «politici», almeno sociali: “Il pensionato” e “Piccola storia ignobile”; nella “Piccola storia” ritornano i ritratti di borghesi ottusi e benpensanti, chiusi nell'ipocrisia del perbenismo e dei luoghi comuni di fronte all'aborto: «Se tuo padre sapesse qual è stata la tua colpa, rimarrebbe sopraffatto dal dolore, uno che poteva dire «guardo tutti a testa alta» ... e a tua madre che, da madre, qualche cosa l'ha intuita, e sa leggere, da madre, ogni tuo sguardo, devi chiedere perdono, dire che ti sei pentita... e di lui non dire male, sei anche stata fortunata... si lo so, quando lo hai detto come si usa ti ha lasciata, ma ti ha trovato l'indirizzo e i soldi...». Ma si ritorna subito al privato, anche se, rispetto alle “Stanze”, c'è un compiacimento meno cupo e disperato nell'esibizione delle proprie frustrazioni, anzi in certi momenti c'è quasi il dubbio ai un'accettazione quieta di se stesso e dei propri malesseri: «Eppure fa piacere, a sera, andarsene per strade ed osterie, vino e malinconie, e due canzoni fatte alla leggera, in cui gridando celi il desiderio che sia n presi sul serio il fatto che sei triste o che t'annoi, e tutti i dubbi tuoi». Il successo, anche commerciale del disco, va ricercato anche nell'indubbia onestà dell'operazione, che dichiara i suoi limiti fin dalle note di copertina:«Questo è il disco, con i miei soliti «tic», ed i miei temi, e le mie parole, che sono quelli che sono perché così sono io. Solo il modo di vedere queste cose è, a volte, diverso».
Ma che piccola storia ignobile mi tocca raccontare, così solita e banale come tante,
che non merita nemmeno due colonne su un giornale o una musica o parole un po' rimate,
che non merita nemmeno l' attenzione della gente, quante cose più importanti hanno da fare,
se tu te la sei voluta, a loro non importa niente,
te l' avevan detto che finivi male...
Ma se tuo padre sapesse qual' è stata la tua colpa rimarrebbe sopraffatto dal dolore,
uno che poteva dire "guardo tutti a testa alta", immaginasse appena il disonore,
lui che quando tu sei nata mise via quella bottiglia per aprirla il giorno del tuo matrimonio,
ti sognava laureata, era fiero di sua figlia,
se solo immaginasse la vergogna,
se solo immaginasse la vergogna,
se solo immaginasse la vergogna...
E pensare a quel che ha fatto per la tua educazione, buone scuole e poca e giusta compagnia,
allevata nei valori di famiglia e religione, di ubbidienza, castità e di cortesia,
dimmi allora quel che hai fatto chi te l' ha mai messo in testa o dimmi dove e quando l'hai imparato
che non hai mai visto in casa una cosa men che onesta
e di certe cose non si è mai parlato
e di certe cose non si è mai parlato
e di certe cose non si è mai parlato...
E tua madre, che da madre qualche cosa l' ha intuita e sa leggere da madre ogni tuo sguardo:
devi chiederle perdono, dire che ti sei pentita, che hai capito, che disprezzi quel tuo sbaglio.
Però come farai a dirle che nessuno ti ha costretta o dirle che provavi anche piacere,
questo non potrà capirlo, perchè lei, da donna onesta,
l' ha fatto quasi sempre per dovere,
l' ha fatto quasi sempre per dovere,
l' ha fatto quasi sempre per dovere...
E di lui non dire male, sei anche stata fortunata: in questi casi, sai, lo fanno in molti.
Sì, lo so, quando lo hai detto, come si usa, ti ha lasciata, ma ti ha trovato l' indirizzo e i soldi,
poi ha ragione, non potevi dimostrare che era suo e poi non sei neanche minorenne
ed allora questo sbaglio è stato proprio tutto tuo:
noi non siamo perseguibili per legge,
noi non siamo perseguibili per legge,
noi non siamo perseguibili per legge...
E così ti sei trovata come a un tavolo di marmo desiderando quasi di morire,
presa come un animale macellato stavi urlando, ma quasi l' urlo non sapeva uscire
e così ti sei trovata fra paure e fra rimorsi davvero sola fra le mani altrui,
che pensavi nel sentire nella carne tua quei morsi
di tuo padre, di tua madre e anche di lui,
di tuo padre, di tua madre e anche di lui,
di tuo padre, di tua madre e anche di lui?
Ma che piccola storia ignobile sei venuta a raccontarmi, non vedo proprio cosa posso fare.
Dirti qualche frase usata per provare a consolarti o dirti: "è fatta ormai, non ci pensare".
E' una cosa che non serve a una canzone di successo, non vale due colonne su un giornale,
se tu te la sei voluta cosa vuoi mai farci adesso
e i politici han ben altro a cui pensare
e i politici han ben altro a cui pensare
e i politici han ben altro a cui pensare...
E un' altra volta è notte e suono,
non so nemmeno io per che motivo, forse perchè son vivo
e voglio in questo modo dire "sono"
o forse perchè è un modo pure questo per non andare a letto
o forse perchè ancora c'è da bere
e mi riempio il bicchiere..
E l' eco si è smorzato appena
delle risate fatte con gli amici, dei brindisi felici
in cui ciascuno chiude la sua pena,
in cui ciascuno non è come adesso da solo con sé stesso
a dir "Dove ho mancato, dov'è stato?",
a dir "Dove ho sbagliato?"
Eppure fa piacere a sera
andarsene per strade ed osterie, vino e malinconie,
e due canzoni fatte alla leggera
in cui gridando celi il desiderio che sian presi sul serio
il fatto che sei triste o che t'annoi
e tutti i dubbi tuoi...
Ma i moralisti han chiuso i bar
e le morali han chiuso i vostri cuori e spento i vostri ardori:
è bello ritornar "normalità",
è facile tornare con le tante stanche pecore bianche!
Scusate, non mi lego a questa schiera:
morrò pecora nera!
Saranno cose già sentite
o scritte sopra un metro un po' stantìo, ma intanto questo è mio
e poi, voi queste cose non le dite,
poi certo per chi non è abituato pensare è sconsigliato,
poi è bene essere un poco diffidente
per chi è un po' differente...
Ma adesso avete voi il potere,
adesso avete voi supremazia, diritto e Polizia,
gli dei, i comandamenti ed il dovere,
purtroppo, non so come, siete in tanti e molti qui davanti
ignorano quel tarlo mai sincero
che chiamano "Pensiero"...
Però non siate preoccupati,
noi siamo gente che finisce male: galera od ospedale!
Gli anarchici li han sempre bastonati
e il libertario è sempre controllato dal clero, dallo Stato:
non scampa, fra chi veste da parata,
chi veste una risata...
O forse non è qui il problema
e ognuno vive dentro ai suoi egoismi vestiti di sofismi
e ognuno costruisce il suo sistema
di piccoli rancori irrazionali, di cosmi personali,
scordando che poi infine tutti avremo
due metri di terreno...
E un' altra volta è notte e suono,
non so nemmeno io per che motivo, forse perchè son vivo
o forse per sentirmi meno solo
o forse perchè a notte vivon strani fantasmi e sogni vani
che danno quell' ipocondria ben nota,
poi... la bottiglia è vuota...
Ma s'io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, le attuali conclusioni
credete che per questi quattro soldi, questa gloria da stronzi, avrei scritto canzoni;
va beh, lo ammetto che mi son sbagliato e accetto il "crucifige" e così sia,
chiedo tempo, son della razza mia, per quanto grande sia, il primo che ha studiato...
Mio padre in fondo aveva anche ragione a dir che la pensione è davvero importante,
mia madre non aveva poi sbagliato a dir che un laureato conta più d' un cantante:
giovane e ingenuo io ho perso la testa, sian stati i libri o il mio provincialismo,
e un cazzo in culo e accuse d' arrivismo, dubbi di qualunquismo, son quello che mi resta...
Voi critici, voi personaggi austeri, militanti severi, chiedo scusa a vossìa,
però non ho mai detto che a canzoni si fan rivoluzioni, si possa far poesia;
io canto quando posso, come posso, quando ne ho voglia senza applausi o fischi:
vendere o no non passa fra i miei rischi, non comprate i miei dischi e sputatemi addosso...
Secondo voi ma a me cosa mi frega di assumermi la bega di star quassù a cantare,
godo molto di più nell' ubriacarmi oppure a masturbarmi o, al limite, a scopare...
se son d' umore nero allora scrivo frugando dentro alle nostre miserie:
di solito ho da far cose più serie, costruire su macerie o mantenermi vivo...
Io tutto, io niente, io stronzo, io ubriacone, io poeta, io buffone, io anarchico, io fascista,
io ricco, io senza soldi, io radicale, io diverso ed io uguale, negro, ebreo, comunista!
Io frocio, io perchè canto so imbarcare, io falso, io vero, io genio, io cretino,
io solo qui alle quattro del mattino, l'angoscia e un po' di vino, voglia di bestemmiare!
Secondo voi ma chi me lo fa fare di stare ad ascoltare chiunque ha un tiramento?
Ovvio, il medico dice "sei depresso", nemmeno dentro al cesso possiedo un mio momento.
Ed io che ho sempre detto che era un gioco sapere usare o no ad un certo metro:
compagni il gioco si fa peso e tetro, comprate il mio didietro, io lo vendo per poco!
Colleghi cantautori, eletta schiera, che si vende alla sera per un po' di milioni,
voi che siete capaci fate bene a aver le tasche piene e non solo i coglioni...
Che cosa posso dirvi? Andate e fate, tanto ci sarà sempre, lo sapete,
un musico fallito, un pio, un teorete, un Bertoncelli o un prete a sparare cazzate!
Ma s' io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, forse farei lo stesso,
mi piace far canzoni e bere vino, mi piace far casino, poi sono nato fesso
e quindi tiro avanti e non mi svesto dei panni che son solito portare:
ho tante cose ancora da raccontare per chi vuole ascoltare e a culo tutto il resto!
Fra "krapfen" e "boiate" le ore strane son volate,
grasso l' autobus m' insegue lungo il viale
e l' alba è un pugno in faccia verso cui tendo le braccia,
scoppia il mondo fuori porta San Vitale
e in via Petroni si svegliano,
preparano libri e caffè
e io danzo con Snoopy e con Linus
un tango argentino col caschè!
Se fossi più gatto, se fossi un po' più vagabondo,
vedrei in questo sole, vedrei dentro l' alba e nel mondo,
ma c'è da sporcarsi il vestito e c'è da sgualcire il gilet:
che mamma mi trovi pulito qui all' alba in via Fabbri 43!
I geni musicali preannunciati dai giornali
hanno officiato e i sacri versi hanno cantati,
le elettriche impazziscono, sogni e malattie guariscono,
son poeti, santi, taumaturghi e vati:
con gioia e tremore li seguo
dal fondo della mia città,
poi chiusa la soglia do sfogo
alla mia turpe voglia.... ascolto Bach!
Se solo affrontassi la mia vita come la morte,
avrei clown, giannizzeri, nani a stupir la tua corte,
ma voci imperiose mi chiamano e devo tornare perchè
ho un posto da vecchio giullare qui in via Paolo Fabbri 43!
Gli arguti intellettuali trancian pezzi e manuali,
poi stremati fanno cure di cinismo,
son pallidi nei visi e hanno deboli sorrisi
solo se si parla di strutturalismo.
In fondo mi sono simpatici
da quando ho incontrato Descartes:
ma pensa se le canzonette
me le recensisse Roland Barthes!
Se fossi accademico, fossi maestro o dottore,
ti insignirei in toga di quindici lauree ad honorem,
ma a scuola ero scarso in latino e il "pop" non è fatto per me:
ti diplomerò in canti e in vino qui in via Paolo Fabbri 43!
Jorge Luis Borges mi ha promesso l' altra notte
di parlar personalmente col "persiano",
ma il cielo dei poeti è un po' affollato in questi tempi,
forse avrò un posto da usciere o da scrivano:
dovrò lucidare i suoi specchi,
trascriver quartine a Kayyam,
ma un lauro da genio minore
per me, sul suo onore, non mancherà...
Se avessi coraggio, se aprissi del tutto le porte,
farei fuochi greci e girandole per la tua fronte,
ma sai cosa io pensi del tempo e lui cosa pensa di me:
sii saggia com' io son contento qui in via Paolo Fabbri 43!
La piccola infelice si è incontrata con Alice
ad un summit per il canto popolare,
Marinella non c' era, fa la vita in balera
ed ha altro per la testa a cui pensare:
ma i miei ubriachi non cambiano,
soltanto ora bevon di più
e "il frate" non certo la smette
per fare lo speaker in TV.
Se fossi poeta, se fossi più bravo e più bello,
avrei nastri e gale francesi per il tuo cappello,
ma anche i miei eroi sono poveri, si chiedono troppi perchè:
già sbronzi al mattino mi svegliano urlando in via Fabbri 43!
Gli eroi su Kawasaki coi maglioni colorati
van scialando sulle strade bionde e fretta,
personalmente austero vesto in blu perchè odio il nero
e ho paura anche d' andare in bicicletta:
scartato alla leva del jet-set,
non piango, ma compro le Clark,
se devo emigrare in America,
come mio nonno, prendo il tram!
Se tutto mi uscisse, se aprissi del tutto i cancelli,
farei con parole ghirlande da ornarti i capelli,
ma madri e morali mi chiudono,
ritorno a giocare da me:
do un party, con gatti e poeti,
qui all'alba in via Fabbri 43!
Non starò più a cercare parole che non trovo
per dirti cose vecchie con il vestito nuovo,
per raccontarti il vuoto che, al solito, ho di dentro
e partorire il topo vivendo sui ricordi, giocando coi miei giorni, col tempo...
O forse vuoi che dica che ho i capelli più corti
o che per le mie navi son quasi chiusi i porti;
io parlo sempre tanto, ma non ho ancora fedi,
non voglio menar vanto di me o della mia vita costretta come dita dei piedi...
Queste cose le sai perchè siam tutti uguali
e moriamo ogni giorno dei medesimi mali,
perchè siam tutti soli ed è nostro destino
tentare goffi voli d' azione o di parola,
volando come vola il tacchino...
Non posso farci niente e tu puoi fare meno,
sono vecchio d' orgoglio, mi commuove il tuo seno
e di questa parola io quasi mi vergogno,
ma c'è una vita sola, non ne sprechiamo niente in tributi alla gente o al sogno...
Le sere sono uguali, ma ogni sera è diversa
e quasi non ti accorgi dell' energia dispersa
a ricercare i visi che ti han dimenticato
vestendo abiti lisi, buoni ad ogni evenienza, inseguendo la scienza o il peccato...
Tutto questo lo sai e sai dove comincia
la grazia o il tedio a morte del vivere in provincia
perchè siam tutti uguali, siamo cattivi e buoni
e abbiam gli stessi mali, siamo vigliacchi e fieri,
saggi, falsi, sinceri... coglioni!
Ma dove te ne andrai? Ma dove sei già andata?
Ti dono, se vorrai, questa noia già usata:
tienila in mia memoria, ma non è un capitale,
ti accorgerai da sola, nemmeno dopo tanto, che la noia di un altro non vale...
D' altra parte, lo vedi, scrivo ancora canzoni
e pago la mia casa, pago le mie illusioni,
fingo d' aver capito che vivere è incontrarsi,
aver sonno, appetito, far dei figli, mangiare,
bere, leggere, amare...grattarsi!
Lo sento da oltre il muro che ogni suono fa passare,
l' odore quasi povero di roba da mangiare,
lo vedo nella luce che anch' io mi ricordo bene
di lampadina fioca, quella da trenta candele,
fra mobili che non hanno mai visto altri splendori,
giornali vecchi ed angoli di polvere e di odori,
fra i suoni usati e strani dei suoi riti quotidiani:
mangiare, sgomberare, poi lavare piatti e mani.
Lo sento quando torno stanco e tardi alla mattina
aprire la persiana, tirare la tendina
e mentre sto fumando ancora un'altra sigaretta,
andar piano, in pantofole, verso il giorno che lo aspetta
e poi lo incontro ancora quando viene l' ora mia,
mi dà un piacere assurdo la sua antica cortesia:
"Buon giorno, professore. Come sta la sua signora?
E i gatti? E questo tempo che non si rimette ancora..."
Mi dice cento volte fra la rete dei giardini
di una sua gatta morta, di una lite coi vicini
e mi racconta piano, col suo tono un po' sommesso,
di quando lui e Bologna eran più giovani di adesso...
Io ascolto e i miei pensieri corron dietro alla sua vita,
a tutti i volti visti dalla lampadina antica,
a quell' odore solito di polvere e di muffa,
a tutte le minestre riscaldate sulla stufa,
a quel tic-tac di sveglia che enfatizza ogni secondo,
a come da quel posto si può mai vedere il mondo,
a un' esistenza andata in tanti giorni uguali e duri,
a come anche la storia sia passata fra quei muri...
Io ascolto e non capisco e tutto attorno mi stupisce
la vita, com'è fatta e come uno la gestisce
e i mille modi e i tempi, poi le possibilità,
le scelte, i cambiamenti, il fato, le necessità
e ancora mi domando se sia stato mai felice,
se un dubbio l' ebbe mai, se solo oggi si assopisce,
se un dubbio l' abbia avuto poche volte oppure spesso,
se è stato sufficiente sopravvivere a se stesso...
Ma poi mi accorgo che probabilmente è solo un tarlo
di uno che ha tanto tempo ed anche il lusso di sprecarlo:
non posso o non so dir per niente se peggiore sia,
a conti fatti, la sua solitudine o la mia...
Diremo forse un giorno: "Ma se stava così bene..."
Avrà il marmo con l' angelo che spezza le catene
coi soldi risparmiati un po' perchè non si sa mai,
un po' per abitudine: "eh, son sempre pronti i guai" .
Vedremo visi nuovi, voci dai sorrisi spenti:
"Piacere", "E' mio", "Son lieto", "Eravate suoi parenti?"
E a poco a poco andrà via dalla nostra mente piena:
soltanto un' impressione che ricorderemo appena...
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