“Si respirava un’aria di grande cambiamento, ma già negli anni prima. Poi è arrivato quel ’68 a cui io ho partecipato, ma solo fino a un certo punto”. Francesco Guccini, in quel 1968, aveva 28 anni, ma aveva già scritto canzoni storiche come “Auschwitz” (1964) o “Dio è morto” (1967).
Gli inizi di quegli scossoni culturali che nel giro di poco tempo impressero un cambio radicale nei costumi e che nel binomio chitarra-parole del cantautore emiliano trovarono una bussola di riferimento. Per quella generazione, ma anche per quelle successive. “Però io non sono mai stato autore politico in senso stretto” ci tiene a puntualizzare oggi Guccini “anzi, allora, non ero visto di buon occhio dai giovani più politicizzati”.
Confessioni nei confronti di un’epoca di fervore in cui i rapporti tra uomo e donna incontravano una libertà sessuale fino ad allora sconosciuta. Senza dimenticare la scoperta improvvisa di Bob Dylan, ma anche la necessità, avvertita da Guccini, di andare contro alcune prerogative del tempo: “Mentre tanti volevano distruggere tutto, io a un certo punto ho fatto un album come “Radici”, mettendo la foto dei miei bisnonni in copertina. Per capire chi ero, dovevo anche capire da dove venivo”.
Sono solo alcuni dei ricordi legati al ‘68 che hanno guidato la lunga chiacchierata con Francesco Guccini, fatta nella sua casa di Pavana, sugli Appennini tosco-emiliani, con RSI, la Radiotelevisione Svizzera, di cui qui vi proponiamo un estratto al link https://www.rsi.ch/play/tv/rsi-news/video/lintervista-a-francesco-guccini?id=10425650&station=rete-uno