Un disco dei Platters


Un disco dei Platters – Romanzo di un maresciallo e una regina è un romanzo di genere giallo di Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli, il secondo con protagonista l’ex-maresciallo dei carabinieri Benedetto Santovito.

Benedetto Santovito torna nel paese teatro delle avventure narrate nel primo romanzo della serie, Macaronì. Sono trascorsi vent’anni circa e l’ormai ex-maresciallo, trova la piccola località completamente cambiata, ma anche vecchi amici, ricordi e, purtroppo, nuovi omicidi. Suo malgrado resta coinvolto nella vicenda che mescola antiche leggende, misteri risalenti all’epoca della seconda guerra mondiale, personaggi del paese nuovi e vecchi e, forse, perfino un nuovo amore…

Sullo sfondo l’Appennino Tosco-Emiliano, al tempo stesso selvaggio e accogliente, e la sua gente, ancora ferita dalla guerra e turbata dai veloci cambiamenti degli anni sessanta.

 

 

RECENSIONI

Da “La Repubblica” del 28 novembre 1998:

Foto © Dario Borlandelli

In quella Via Paolo Fabbri 43, domicilio di una canzone celebre e di un altrettanto celebre cantautore, incontro Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli. Sono al loro secondo romanzo scritto in coppia. Il primo, Macaronì, fu edito da Mondadori l’ anno scorso, con un discreto successo: quarantamila copie vendute in Italia e traduzioni in Germania e in Francia. Come dire? Il giallo a volte paga, soprattutto se si imbrocca il personaggio giusto: un maresciallo in pensione che investiga, con ironia e disincanto, su alcuni casi di omicidio. A pensarci sopra ti viene in mente Maigret: stessa flemma. Anche se Benedetto Santovito – la creatura del duo Guccini-Macchiavelli – fuma il sigaro, mentre il protagonista di Simenon è inseparabile dalla sua pipa. Mi chiedo se esista una logica del fumo applicabile all’ investigazione. Nel secondo romanzo, appena uscito da Mondadori, Un disco dei Platters (pagg. 332, lire 30.000), il maresciallo Santovito vive in permanente simbiosi con il suo toscano. Senza la voluttà che gli procura quel gesto Santovito non riuscirebbe nemmeno a pensare, figuriamoci a risolvere quei casi di omicidio in cui si imbatte. In Un disco dei Platters sono tre le morti sospette, legate a un tesoro scomparso, che mettono in agitazione un paesino dell’ Appennino tosco- emiliano, dove Santovito passa le sue vacanze. Avere davanti entrambi gli autori può creare qualche curiosità supplementare rispetto alla trama o al libro in sé. Per esempio viene voglia di conoscere come è nata una coppia così: un cantautore di successo, nonché scrittore sul solco della filologia dialettale e un giallista collaudato, con alle spalle quel Sarti Antonio, poliziotto di Bologna, artefice di numerose avventure. “Ci siamo messi assieme un po’ per caso”, dice Guccini. “Avevo l’ idea per un libro giallo. Tra l’ altro basata su un fatto vero accaduto a Pàvana, che è il paese dove ho trascorso la mia infanzia. L’ idea che mi girava nella testa era legata alla morte misteriosa di un prete, ma mi rendevo conto che non essendo un giallista difficilmente sarei stato capace di costruire delle trame adeguate. Ne parlai con Loriano e per un po’ la cosa rimase lì, ferma, senza sviluppi. Poi una sera, presente uno degli editor della Mondadori, tornammo sull’ argomento. E lui, Antonio Franchini, ci invitò a scrivere questa storia”. Tecnicamente come lavorate? Guccini: “Prepariamo una scaletta, dopo di che ciascuno scrive i capitoli che gli sono più congeniali, una volta finiti li passa all’ altro che li corregge”. Macchiavelli: “Nella scaletta decidiamo anche dove vogliamo andare, quali personaggi coinvolgere e che spazio dargli. Naturalmente sono cose che nel corso della scrittura possono cambiare. E poi c’ è il lavoro di preparazione che è composto dalla ricerca ambientale, storica, sociologica”. Questo vostro nuovo romanzo ha come sfondo, diciamo l’ antefatto, la metà degli anni Quaranta e poi un presente che sono gli anni Sessanta. Guccini: “Quel presente cui lei allude è esattamente il 1960. Sfioriamo avvenimenti che accaddero in quell’ anno: il governo Tambroni, le lotte antifasciste, le scomparse di Fausto Coppi e Fred Buscaglione”. Ma è anche un anno di piccole mitologie, di icone che si stamperanno nella memoria: il juke box, il chinotto Neri, riesumate perfino la birra Ronzani… Guccini: “Ah, era una birra bolognese”. Macchiavelli: “No, era di Casalecchio di Reno”. Guccini: “Ma tu li ricordi quei camion con le ruote piene, ferro e gomma, senza camera d’ aria che trasportavano la birra? I maligni dicevano che da quei camion non si capiva bene che merce uscisse”. Macchiavelli: “Io ricordo invece che la fabbrica della birra era proprio accanto allo stabilimento dei preservativi Hatù, gli unici allora fabbricati in Italia”. Parlate degli anni Sessanta come fossero ieri. Avete idea di come se li può immaginare uno che oggi ha vent’ anni? Macchiavelli: “A me, proprio uno di vent’ anni ha chiesto cosa significa un disco dei Platters, che è poi il titolo che abbiamo scelto per il nostro romanzo. Come fai a spiegargli chi erano i Platters, credevo che fossero già storia, inseriti di diritto dentro la cultura musicale e invece no”. Guccini: “Mi pare che in Italia arrivarono nel 1958 o nel 59. Grandi professionisti. Come recita la loro canzone: “Only you, and you alone…”, solo tu e soltanto tu puoi far sembrare giusto questo mondo… E poi quel singhiozzo, fra un flirt, un jeans e un rock and roll”. E voi che facevate in quegli anni lì? Guccini: “Io nel 1960 facevo il giornalista alla Gazzetta di Modena. Sognavo i grandi reportage alla Hemingway e intanto lavoravo senza contratto per la cronaca locale. E tu Loriano che facevi nel ‘ 60?”. Macchiavelli: “Io non me lo ricordo, avevo ventisei anni, ma su quell’ anno lì dal punto di vista biografico è come se fosse sceso il buio. Si vede che non è successo niente di eclatante”. Ma quella data, quel 1960, che avete scelto per la vostra storia, è anche un simbolo: si chiude definitivamente un’ epoca e se ne apre un’ altra. Macchiavelli: “Si chiude l’ epoca della fame atavica, nascono miriadi di nuove fabbriche e la gente comincia a cambiare i propri ritmi, le proprie abitudini”. Guccini: “Credo che la gente cominciasse ad avvertire un benessere fino ad allora sconosciuto”. Al di là delle notazioni sociologiche avete qualche nostalgia per quel periodo? Macchiavelli: “Personalmente non ne ho e mi dispiacerebbe se dal romanzo trasparisse un’ eco del genere. Raccontare quegli anni mi ha provocato semmai quel piacere che nasce dal coinvolgimento. Posso dire: c’ ero, li ho vissuti, erano così”. Facciamo un passo indietro. Sullo sfondo di questo romanzo ci sono gli ultimi echi della guerra e c’ è la Resistenza, la quale è vista anche nelle sue ombre. Macchiavelli: “E’ chiaro che la Resistenza non ha solo lati positivi, ma nel romanzo non si entra mai nel merito. Però ricordo che quando impostammo la scaletta dissi a Francesco che un po’ di atmosfera su che cosa sia stata la Resistenza andava creata. Lui mi disse che era meglio non toccarla”. Guccini: “Ma la mia apprensione era più di tipo narrativo che storico. In fondo la Resistenza è stata macinata in diecimila romanzi d’ amore. Ed ero francamente preoccupato che ripetessimo qualcosa di già detto e visto. E comunque ciò che salta fuori da quella esperienza è positivo per il modo in cui ne parliamo. I ruoli sono chiari: i fascisti sono fascisti e i partigiani sono partigiani”. Scusate se insisto ma avreste scritto in maniera così sfumata e sobria della Resistenza anche vent’ anni fa? Macchiavelli: “Vent’ anni fa avrei scritto della Resistenza in un altro modo: con più coinvolgimento e rabbia. Anche perché quel periodo allora lo sentivo più vicino. Ma sono avvenuti tali cambiamenti nel nostro mondo che sarebbe risultato fuori luogo parlarne con l’ entusiasmo di allora. Con il passare degli anni muta la sensibilità politica e sociale”. Quella rabbia, cui accennava Macchiavelli, lei Guccini l’ ha messa in alcune sue canzoni, meno nei suoi libri. Guccini: “Le canzoni creano un impatto che i libri non hanno. Ma la rabbia ti può esplodere oggi, come nel passato. E’ chiaro che mutano i contesti e ci sono canzoni generazionali, per cui “Dio è morto” avrei potuto scriverla solo allora. Ma una canzone come “La locomotiva”, se non l’ avessi già scritta potrei scriverla anche oggi. Perché, al di là dei significati che ha assunto, è la storia in sé che risulta affascinante. Ma tutto questo c’ entra poco con Santovito, il protagonista delle nostre storie”. Mi pare che da un romanzo all’ altro lo avete ringiovanito. Perché? Guccini: “Perché addosso gli abbiamo cucito una storia d’ amore. E’ un cinquantenne che si mette con una molto più giovane”. Non senza qualche disincanto. Guccini: “Quando Santovito ha compiuto cinquant’ anni è come se li avessi compiuti io. Ricordo che a quella età dicevo: Francesco, il tempo che ti resta è meno di quello che hai lasciato alle spalle. Con la mezza età ti succede una cosa curiosa: ogni persona nuova che conosci ce ne ricorda immediatamente un’ altra”.

 

NOTE

 

TITOLO: “Un disco dei Platters”

AUTORE: Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli

CASA EDITRICE: Arnoldo Mondadori Editore

ISBN: 88-04-45062-2

PAGINE:

ANNO DI PUBBLICAZIONE: 1998